Secondo le classifiche di organizzazioni come NRDC e Made-By, il cashmere è classificato male quando si tratta di sostenibilità. La Cina produce il 60% della produzione globale e la Mongolia il 20%. Anche per questa estrema concentrazione di produzione, e delicatezza del filato, si tratta di un indumento che costa molto. I mercati chiave per l’abbigliamento in cashmere sono soprattutto in Europa (Regno Unito, Italia e Germania). In più quest’anno, nel 2024, la filiera globale del cashmere ha dovuto affrontare una sfida inaspettata a causa del disastro climatico naturale che ha colpito vaste regioni dell’Asia.
Un tempo ambito per la sua rara e morbidissima purezza, il cashmere sta ora superando la nicchia del lusso a causa del suo crescente utilizzo in capi casual e convenienti, in particolare nell’athleisure. Ma è un cambiamento con conseguenze ambientali potenzialmente disastrose per i pascoli da cui dipende la produzione di cashmere. Il cashmere, apprezzato come “il diamante delle fibre”, deriva dal sottile sottopelo invernale della capra hircus laniger. Questi pascolano nei pascoli naturali, principalmente nelle steppe dell’Asia centrale e orientale. La finezza, la lunghezza e il colore delle fibre determinano il valore del cashmere.
È più resistente e caldo della lana, si tinge facilmente e può essere mescolato con altre fibre. I pastori tosano o pettinano le fibre durante la primavera, quando le capre muoiono. I commercianti e i trasformatori acquistano questo cashmere grezzo per spedirlo ai mulini, dove viene “pulito” (lavato) e selezionato per qualità e colore. Viene quindi “de-hair”, ovvero rimuovendo il più possibile il pelo esterno grossolano senza danneggiare il sottopelo fine che viene poi filato e tessuto in cashmere di alta qualità. 25mila tonnellate di cashmere, contro un milione di lana, vengono prodotte ogni anno. E se la domanda aumenta, bisogna correre ai ripari riciclando quello che già è presente sul mercato o negli armati dei consumatori.
Qui Rayan Roche ha inaugurato una singolare iniziativa: riceve prodotti in cashmere vecchi e sciupati e ricambia con soldi.







In foto di apertura invece la nuova linea di Malo Cashmere per questo inverno, tutta ricavata da fili di scarto. Sono maglioni bellissimi e colorati che portano nel loro stile il messaggio eco-friendly. Una capsule collection chiamata “Malo Candies” composta da cardigan e maglie girocollo in puro e morbido cashmere, unisex e in taglia unica, caratterizzata da vivaci righe e realizzata con un occhio di riguardo alla sostenibilità.
Questi nuovi capi nascono infatti dal recupero creativo del cashmere di fine rocca, rivalorizzato con cura e maestria artigianale. Realizzati con materiali di fine cono, questi capi non sono solo un’espressione di creatività sostenibile, ma anche veri e propri quasi pezzi unici, che rendono ogni acquisto ancora più speciale.
Malo Candies nasce nell’ottica della sostenibilità e della tradizione. Una capsule collection esclusiva realizzata, in numero limitato, grazie al recupero di filati di residui di produzione pre-consumer, secondo la filosofia zero-waste della maison che, da ormai diversi anni, segue il motto: produrre meno ma meglio, rispettando il pianeta e donando esclusività al cliente.
Ogni capo, inoltre, è frutto di uno studio attento sui colori e sui loro abbinamenti, garantendo armonia cromatica e uno stile unico.