Visione romantica delle trasformazioni urbane o grande trappola del vortice metropolitano= La creative class è un raggruppamento sociale concepito dal sociologo statunitense Richard Florida nel 2002 che all’epoca del debutto del suo libro teorizzò le nuove «tre T» su cui si sarebbe basato il lavoro del terzo millennio: Tecnologia, Talento, Tolleranza.
E se pensiamo a come stanno le cose oggi, alle soglie del 2025, la profezia si è avverata. Dopo la pandemia, a ogni ritorno in città, corrisponde la voglia sempre più forte di mantenere il work-life balance. Che significa, scelta del luogo di lavoro più congeniale alle proprie esigenze, riorganizzazione di tempi e spazi, irremovibile desiderio di anteporre le proprie scelte a quelle dell’azienda per cui si lavora. La Creative class è definitivamente arrivata a guidare le scelte e i cambiamenti delle città che la ospitano.
Molti dei contenuti che vi proponiamo su The Way Magazine ogni giorno sono ‘figli’ di questa concezione. O in parte, derivati da essa. La creatività e l’innovazione prosperano dove c’è apertura a nuove idee di organizzazione sociale, dove le influenze esterne sono bene accolte, e in ambienti dove vengono considerati e valorizzati approcci produttivi diversi e soprattutto prospettive di pensiero diversi. I talenti creativi vogliono sempre di più raccontarsi, fare la differenza sul pensiero comune e prendersi la responsabilità di avere un effetto stimolante sulla società.
Se questo atteggiamento crea un’atmosfera innovativa anche negli ambienti che si scelgono come sedi di lavoro, le ripercussioni sono evidenti.
Il downside? L’esclusione, di chi non fa parte di questo ceto creativo abituato ormai a spostarsi e a spendere. E il sospetto che dietro la spinta alla smaterializzazione della certezza fisica (il luogo di lavoro e vita prescelto) ci sia la mano capitalista che spinge al consumo senza sosta. Nomad Capitalist di Andrew Henderson, è un manuale che addirittura consiglia i digital nomad le scelte economiche da fare quando si cambia lavoro.
Ma in una società custom-made, ognuno si fa l’ambiente che crede più corrispondente al proprio desiderio. Costa, vero, questa realizzazione del proprio potenziale. Ma crea più soddisfazione: ci sono studi che calcolano la soddisfazione dei lavoratori under 35, spesso della creative class, molto più alta rispetto a quella dei più anziani.
Che un creativo di risonanza globale, e solitamente molto attento ai cambiamenti sociali, come Giorgio Armani sia tornato di recente a parlare dell’evoluzione delle città è sintomatico. “Mi sono accorto che Madison Ave stava diventando la nuova Quinta Strada”, ha detto ultimamente alla vigilia dell’apertura del suo nuovo palazzo a New York. La creatività si prende pezzi di città. E in fondo, non c’è niente di male.
In foto di apertura: Mr. Brainwash, Time to start loving (neon e acrilico in specchio con cornice), Deodato Arte, in mostra a Parma.
Commenti e opinioni
Ci resta la “Creative class”
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Ci resta la “Creative class”
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Ci resta la “Creative class”
Visione romantica delle trasformazioni urbane o grande trappola del vortice metropolitano= La creative class è un raggruppamento sociale concepito dal sociologo statunitense Richard Florida nel 2002 che all’epoca del debutto del suo libro teorizzò le nuove «tre T» su cui si sarebbe basato il lavoro del terzo millennio: Tecnologia, Talento, Tolleranza.
E se pensiamo a come stanno le cose oggi, alle soglie del 2025, la profezia si è avverata. Dopo la pandemia, a ogni ritorno in città, corrisponde la voglia sempre più forte di mantenere il work-life balance. Che significa, scelta del luogo di lavoro più congeniale alle proprie esigenze, riorganizzazione di tempi e spazi, irremovibile desiderio di anteporre le proprie scelte a quelle dell’azienda per cui si lavora. La Creative class è definitivamente arrivata a guidare le scelte e i cambiamenti delle città che la ospitano.
Molti dei contenuti che vi proponiamo su The Way Magazine ogni giorno sono ‘figli’ di questa concezione. O in parte, derivati da essa. La creatività e l’innovazione prosperano dove c’è apertura a nuove idee di organizzazione sociale, dove le influenze esterne sono bene accolte, e in ambienti dove vengono considerati e valorizzati approcci produttivi diversi e soprattutto prospettive di pensiero diversi. I talenti creativi vogliono sempre di più raccontarsi, fare la differenza sul pensiero comune e prendersi la responsabilità di avere un effetto stimolante sulla società.
Se questo atteggiamento crea un’atmosfera innovativa anche negli ambienti che si scelgono come sedi di lavoro, le ripercussioni sono evidenti.
Il downside? L’esclusione, di chi non fa parte di questo ceto creativo abituato ormai a spostarsi e a spendere. E il sospetto che dietro la spinta alla smaterializzazione della certezza fisica (il luogo di lavoro e vita prescelto) ci sia la mano capitalista che spinge al consumo senza sosta. Nomad Capitalist di Andrew Henderson, è un manuale che addirittura consiglia i digital nomad le scelte economiche da fare quando si cambia lavoro.
Ma in una società custom-made, ognuno si fa l’ambiente che crede più corrispondente al proprio desiderio. Costa, vero, questa realizzazione del proprio potenziale. Ma crea più soddisfazione: ci sono studi che calcolano la soddisfazione dei lavoratori under 35, spesso della creative class, molto più alta rispetto a quella dei più anziani.
Che un creativo di risonanza globale, e solitamente molto attento ai cambiamenti sociali, come Giorgio Armani sia tornato di recente a parlare dell’evoluzione delle città è sintomatico. “Mi sono accorto che Madison Ave stava diventando la nuova Quinta Strada”, ha detto ultimamente alla vigilia dell’apertura del suo nuovo palazzo a New York. La creatività si prende pezzi di città. E in fondo, non c’è niente di male.
In foto di apertura: Mr. Brainwash, Time to start loving (neon e acrilico in specchio con cornice), Deodato Arte, in mostra a Parma.
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