Siamo tutti migranti oggi oppressori, domani oppressi. Me lo spiega la talentuosa scenografa e scultrice Francesca Romano, mentre visito, nella superba struttura della “Casa della memoria”, la sua mostra intitolata “L’autoritratto, di nessuno”, inaugurata a Milano, con grande successo di pubblico, il 18 luglio 2023, e fruibile fino al 24 di settembre.
Ormai milanese d’adozione, l’artista dopo un inizio a Mediaset con l’indimenticabile Domenico Modugno nel varietà “La luna nel pozzo”, arriva in Rai, e giusto per citare un lavoro, fa parte in qualità di scenografa, della portentosa produzione de “I Promessi sposi” diretto da Salvatore Nocita, e con protagonista Remo Girone. Arrivando ad oggi, ha appena finito di realizzare le scene di un film indipendente per la regia di Fabio Martina, che dovrebbe uscire col titolo “Fine scuola”.

Sul tema dell’emarginazione, Francesca Romano ha un nervo ancora scoperto e dolente: mi racconta di lei, che arriva a sette anni da un paese calabro, Mileto, dimenticato pure dalla carta geografica, in una Milano ostile, dove l’esclusione si incide sulla pelle di una ragazzina che in classe, non ha neanche il coraggio di alzare la mano ed intervenire durante la lezione, così derisa per un accento che la condanna “diversa” già con il tono della voce.
Ma la vita, è fatta di conquiste e successi che odorano di riscatti, e la carriera di quest’artista li racconta tutti.
Ed ora? Ora ha esordito in una mostra nel cartellone del Comune di Milano intitolata “L’autoritratto, di nessuno”. Colpisce già il titolo, dove la virgola, diventa l’ossimoro che toglie la forza prepotente di quell’auto rappresentazione, e la getta nel baratro della spersonalizzazione. E nel gioco dei ruoli, ognuno di noi da carnefice, può diventare vittima, da oppressore oppresso, e così via all’infinito nell’eterno up e down con cui l’esistenza tiene sotto scacco.

Come lucidamente descrive Francesca Romano “avevo pensato questa mostra in un contesto diverso, alla darsena di Genova, nel 2019, con il titolo “Di nessuno”, e le mie sculture avrebbero dovuto galleggiare a pelo d’acqua. Poi il progetto non ha avuto luogo, ed ho sviluppato il concept, rendendolo più corposo. Ho individuato un materiale più potente, per raccontare la deprivazione d’identità, espressa pure nelle ferree stampelle, imprigionate nel fil di ferro: uomini privi di volto e membra, snaturati e ridotti a sagome, in una prigione che è la medesima condizione, senza dignità di nome e patria, incarcerati e vestiti delle mie sessantacinque composizioni.
Come creatrice e scultrice, mi sono ritagliata il ruolo di protagonista narrante, attraverso un lungo pannello, in cui ho dissanguato la mia immagine, scorporandola fino all’essenza del nulla. Ecco che il titolo si è trasformato in “Autoritratto, di nessuno”. Una realizzazione dal punto di vista tecnico complessa, che mi ha limitato in uno spazio lungo quattordici metri, per un’altezza di un metro e trenta, a cui sono arrivata dopo infinite prove e mesi di studio. Il pvc a specchio adoperato per le sculture, possiede la proprietà che, indossato dal lato argento protegge dal caldo, e dal lato oro ripara dal freddo: per questo i profughi o i senzatetto lo usano. Artisticamente, la qualità specchiante, rende protagonisti i visitatori, che in questi pannelli, si vedono riflessi a loro volta. Non solo: in centro sala ho predisposto un tavolo con coperte termiche di pvc, a disposizione del pubblico, da indossare, per compenetrarsi e vivere il personale contesto di naufragio. Il tema dello specchio, racconta la duplicità non solo dell’immedesimazione, ma della situazione: essere migranti, è un attimo! Può bastare, come successo in Ucraina, un repentino conflitto per ridurre un popolo da persona a sopravvissuto”.

E come verseggia Ungaretti, nella struggente “Natale”, si conta meno di “una cosa, posata in un angolo e dimenticata”.
Fuori dagli orrori di terre negate e guerre, chiunque, ed in qualunque momento, si può ritrovare a vivere l’esperienza della solitudine, dell’ incomprensione, del dolore, in quell’essere tagliato fuori in un incendio dell’anima, o in un gelo del cuore, così desolato da rifugiarsi dentro un pvc specchiante, con la speranza che infine, qualcuno si accorga che dentro un singhiozzo frusciante, d’oro o d’argento, esiste un uomo.

Casa della Memoria si trova al confine tra il nuovo quartiere di Porta Nuova e il vecchio quartiere dell’Isola e pone in dialogo la zona riqualificata, che gravita attorno alla piazza Gae Aulenti, con il solido e popolare quartiere. L’edificio realizzato tra il 2013 e il 2015 su progetto dello studio milanese Baukuh, si inserisce all’interno di un importante sistema di spazi ed edifici pubblici o a vocazione pubblica che comprende la nuova sede della Regione Lombardia, la Fondazione Riccardo Catella, lo spazio multifunzionale della Stecca degli artigiani e il Parco della Biblioteca degli Alberi.