La sua passione per l’interior design l’ha portato in giro per l’Italia osservando, capendo, approfondendo. Per Enrico Costantini, 32 anni, veneziano, l’osservazione estetica va oltre il lavoro. Tanto che con le competenze digitali e di social media associate allo studio del design e della specificità della bellezza italiana, il creativo ha inventato un nuovo modo di scattare. Che vi presentiamo in questo servizio: lui, bellezza mediterranea, fotografo dell’anima, al centro degli scatti di alcuni dei più begli angoli di design d’interni che ha immortalato nella sua carriera finora.
Che formazione hai, Enrico?
Ho frequentato il liceo d’arte a Venezia e a 18 anni ho studiato Interior Design a Roma. Facevo il ballerino allo stesso tempo ma poi ho rinunciato, perché a un certo punto quella carriera o diventa la vita, o bisogna lasciar stare.
Sei un creativo a tutto tondo, con un buon seguito internazionale sui social media. Che cosa ti intriga di più di quello che fai?
Sono principalmente un fotografo documentarista che si appassiona di persone e luoghi. Per me viaggiare è svago, conoscenza, mi dà emozioni. La parte legata al design arriva da una forte ispirazione personale e dall’incessante ricerca artistica.
Cosa ti appassiona del racconto che fai online ai tuoi followers?
Posso raccontare le due sfere, entrare in contatto con le persone, scoprire uno scenario pubblico e un dettaglio intimo da veicolare con uno scatto. Quando sono stato in Africa, ero da solo e focalizzarmi sulla bellezza senza distrazione, non era un viaggio fotografico. Rividendole ora, quelle foto stilisticamente sono lontane, ma ne riconosco il messaggio. L’Etiopia è stata un’esperienza profonda, l’ultimo viaggio per me prima della pandemia. Era il gennaio 2020.
Hai sempre un occhio per gli interni, per i dettagli, per una visione in penombra degli ambienti.
La ricerca estetica è stata sempre molto importante, la passione per l’architettura mi ha dato tanto. Sono autodidatta come fotografo e ho molto da imparare soprattutto sotto l’aspetto tecnico, ma ho allenato l’occhio e mi piace raccontare le cose. Un processo lungo, da affinare. Hai ragione, nella mia fotografia in generale la luce è un fattore primario. Infatti scatto solo con luce naturale, mi piacciono i giochi di ombre, l’utilizzo della luce è l’80% dello scatto. Poi il resto lo fanno la composizione e il momento di cattura dell’istante.
Cosa non ti piace della fotografia imperante di questi tempi?
Ho assistito fotografi di moda a New York per un periodo, ma era sempre un lavoro artificioso. Proprio allora mi sono affezionato all’uso della luce naturale. Lo scatto di interni devi essere fedele alla realtà per trasmettere la sensazione del luogo. Tanti fotografi tendono a fare molto editing. In realtà anche se lo scatto non è perfetto, a me piace molto come lo rendo con naturalezza, in molti mi dicono della somiglianza ai metodi caravaggeschi. In generale mi dispiace vedere delle foto che ammazzano le ombre. In quei casi, lo scatto diventa molto piatto.
Credi nello spirito del luogo?
L’anima del posto è rappresentata dalla sua realtà, mi è capitato tante volte di leggere commenti sui social da parte di persone che conoscono i luoghi che ho ritratto. Molte volte mi dicono che non avevano notato dei dettagli, o non li riconoscono proprio. Il complimento più bello che mi è stato fatto è: solo tu riesci a rendere anche Dubai interessante. Forse perché l’ho raccontato con un modo diverso, non solo patinato. Mi piace l’idea dell’interpretazione personale, non mi fermo al cliché del racconto del luogo. E questo succede quando emerge lo spirito del luogo.
Cosa ti proponi quando decidi di fare un scatto?
Un racconto non scontato, alternativo è la carta vincente. Una delle cose che mi piace e che caratterizza il mio gusto, è lasciare libera immaginazione a chi guarda. Togliere informazioni allo scatto significa lasciare immaginare qualcosa in più. Immaginare qualcosa che non esiste permette che dal dettaglio arrivi un’elaborazione di una riflessione. In questo modo ogni scatto sembra rubato a un film di cui non conosci la trama. Una storia ideale da immaginare.
Avere Venezia nel tuo background è un ingombro o un vantaggio?
Venezia è una città che per anni ho pensato fosse complicata, complessa, non ci si muove facilmente. Poi nella mia esperienza mi ha dato tanto, visto che dalla sera diventa molto riflessiva, assomiglia molto mio carattere, il mio essere. Credo sia anche un luogo che offre molti modi di ritagliare spazi per se stessi. Ho vissuto a Venezia Lido, sul mare d’inverno che genera emozioni forti. Venezia alle dieci di sera è un set fotografico, nella sua seconda faccia è desolazione che si unisce a storia ed emotività.
La tua caratteristica è anche quella di metterti al centro di alcune serie di fotografie di interni. Che cosa vuoi esprimere?
I miei follower si aspettano anche questo, c’è un po’ di vanità anche se è difficile che mi piaccia una mia foto frontale. Tutti gli scatti sono diretti da me, organizzo tutto e faccio la foto, non ho tanti amici fotografi con cui viaggio. Vorrei avere immagini più dinamiche, siamo sempre statici, infatti questi ritratti sembrano scatti rubati che raccontano la riflessione. Per me è un modo di dare attenzione, non voglio essere protagonista, anche se ci sono.