2 Marzo 2023

“Dischi da correre”, le copertine che hanno fatto storia

Il libro presentato alla Iocisto di Napoli. Parla l'esperto che ha riunito 20 immagine iconiche di quando la musica si guardava anche.

2 Marzo 2023

“Dischi da correre”, le copertine che hanno fatto storia

Il libro presentato alla Iocisto di Napoli. Parla l'esperto che ha riunito 20 immagine iconiche di quando la musica si guardava anche.

2 Marzo 2023

“Dischi da correre”, le copertine che hanno fatto storia

Il libro presentato alla Iocisto di Napoli. Parla l'esperto che ha riunito 20 immagine iconiche di quando la musica si guardava anche.

Stefano Causa, da storico dell’arte, vorrebbe l’immagine bianca del “White Album” dei Beatles in un museo. Perché quella provocazione, dagli anni Sessanta, è figlia di un’urgenza comunicativa e potenza artistica al pari di tanti capolavori del tempo che li ha prodotti. Con lo scopo di nobilitare l’arte della copertina dei dischi, l’esperto ha scritto “Dischi da correre”, un libro per Roberto Nicolucci Editore che oggi viene presentato alla libreria Iocisto di Napoli con l’autore Donato Zoppo.

A 56 anni – ci racconta – mi sono permesso questo gioco di parole nel titolo, ma ho voluto mettere in evidenza quanta musica associata alle copertine ha forgiato la personalità di generazioni di ascoltatori. La copertina azzeccata assieme al titolo è importante nella musica come nella letteratura. Fa parte a tutti gli effetti di un’opera”.

Storico dell’arte appassionato di storia della musica, Causa ritiene l’esperienza dell’acquisto di musica che si tocca e si guarda ancora oggi molto coinvolgente.

Stefano Causa, ’autore di “Dischi da correre” è cresciuto a colpi di vinili e compact disc. La copertina non è una semplice soglia da superare distrattamente. Piuttosto un distillato di gusto, arguzia e intelligenza critica: dai Beatles a Tina Turner, da Sade a David Bowie.


Che tipo di scelte sono state fatte per la realizzazione del libro?

Mi sono concentrato sulla musica pop straniera dei tempi d’oro, dagli anni Sessanta agli Ottanta. All’estero c’è stata un’attenzione maggiore alle immagini, durante il boom commerciale del vinile. Ci si portava inizialmente a casa la faccia del cantante come nel caso di Frank Sinatra. I primi 45 giri di Elvis avevano la sua immagine in primo piano. Anche il primo album dei Doors aveva Jim Morrison, erano tempi in cui si puntava sulla bellezza iconica del leader.

Poi nel mercato della musica commercializzata è cambiato qualcosa…
Il primo album dei Beatles ‘Please Please Me’ e The Who con i componenti della band coperti dalle bandiere hanno mostrato nuove possibilità. Giocare con le facce dei musicisti e foraggiare l’immaginario degli adolescenti ha preso piede, piano piano si è iniziato a giocare con le grafiche e distoriorsioni, come in ‘Rubber Soul’.

Che idea c’è dietro il tuo libro?
Roberto Nicolucci è uno storico e critico d’arte nonché fondatore della casa editrice che mi ha spinto a fare la scelta della storia delle copertine. Un’idea che è arrivata da un trentenne, il che dimostra il suo coraggio e anche il mio stupore. Ovviamente ero contento di avere una persona più giovane a sostenere questa avventura.

Quali sono quelle che hai voluto inserire per forza?

Il libro è bello da leggere e anche da guardare e toccare. L’ho organizzato con schede veloci con una scelta che va dai Beatles, senza parlare di ‘Sgt Pepper’s’ che merita un trattato a parte. Ho evitato anche ‘The Dark Side of the Moon’ dei Pink Floyd, di cui si sa molto. Ho voluto “In the Court of the Crimson King’ perché per la mia generazione ha significato molto, quella faccia che urla è iconica ora come nel 1969. Così come ho voluto Joe Jackson di ‘Night and Day’, una pietra miliare del 1982 e i Tears for Fears di ‘Songs for The Big Chair’ del 1985.

Quella che hai più a cuore?
Sono molto legato al disco di Emerson, Lake & Palmer del 1973 ‘Brain Salad Surgery’ che ha l’artowork di Hans Ruedi Giger, l’artista che successivamente disegnò il protagonista dei film ‘Alien’. Quello era un packaging sperimentale, si apriva e aveva un concetto molto ambizioso.

Croce e delizia dei collezionisti di vinile: la copertina di “Thick as a Brick” dei Jethro Tull (1972) si apriva come un quotidiano e recava notizie false impaginate come un autentico giornale. Il nome inventato era St. Cleve Chronicle del 7 gennaio 1972. I testi del disco erano confusi tra gli articoli, una lavorazione molto laboriosa che la band seguì da vicino.

La copertina più strana?

Se penso all’intera storia della discografia, ‘Thick as A Brick’ dei Jetrho Tull ha il primato. Perché era strutturata come un giornale con le pagine che si aprivano e si sfogliavano. Tra l’altro un giornale che fu inventato di sana pianta, con notizie scritte dal cantante e front-man.

C’è qualcosa di avvincente anche nell’evoluzione del gusto delle copertine?
Certo, sono sempre in accordo coi tempi. Ecco perché oggi che siamo in tempi di musica liquida, sono semplici e immediate, perché si guardano soprattutto dallo schermo. Negli anni 80 con ‘Private Dancer’ di Tina Turner la foto corteggia l’alta moda, diventa lo specchio del tempo che vivevano quelle star, non è mai casuale.
Hai lasciato spazio per altre edizioni dell’indagine?

Vorrei realizzare volumi sulla musica italiana, sul jazz e sulla classica. Per i cantanti italiani sarà difficile selezionare perché li sentiamo più vicini a noi, sarà una scelta più viscerale. Ma mi interessa anche analizzare l’iconografia delle copertine del jazz, un filone di cui si è parlato in una grande mostra a Rovereto. Uno dei giganti del genere fu Luigi Ghirri con le sue memorabili fotografie.

Credi che il rinascimento del mercato dei vinili aiuterà nuovi sviluppi per le cover?
Il ritorno del vinile credo sia di nicchia e un fenomeno effimero. Non è solo cambiata la fruizione della musica ma è cambiata la fruizione delle immagini. Ogni giorno ne vediamo troppe, fino al punto di non vederle più. L’attenzione è calata per la musica, non solo per le immagini. Anzi credo sia proprio sparita. Gli album un tempo duravano 40 minuti. Oggi non c’è nemmeno pazienza di ascoltare un solo brano, si è portati al multitasking a discapito della concentrazione. Il problema vero è per generi come il jazz che per essere apprezzati hanno bisogno di un ascolto paziente. Che non credo sia un atteggiamento diffuso.

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Christian D'Antonio

Christian D’Antonio (Salerno,1974) è direttore responsabile della testata online di lifestyle thewaymagazine.it. Iscritto all’albo dei giornalisti professionisti dal 2004, ha scritto due libri sulla musica pop, partecipato come speaker a eventi e convegni su argomenti di tendenza e luxury. Ha creato con The Way Magazine e il supporto del team di FD Media Group format di incontri pubblici su innovazione e design per la Milano Digital Week e la Milano Design Week. Ha curato per diversi anni eventi pubblici durante la Milano Music Week. È attualmente ospite tv nei talk show di Damiano Gallo di Discovery Italia. Ha curato per il quartiere NoLo a Milano rassegne di moda, arte e spettacolo dal 2017. In qualità di giudice, ha presenziato alle manifestazioni Sannolo Milano, Positive Business Awards, Accademia pizza doc, Cooking is real, Positano fashion day, Milan Legal Week.
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