Giorgio Pasotti è un professionista della recitazione che con grande coraggio si è sempre rimesso in gioco nel suo lavoro. Dagli esordi, partito da Bergamo per la Cina nei primi anni 90 per inseguire la passione delle arti marziali, ha lì girato due film a tema (Treasure Hunt e The Drunken Master III). Poi con Gabriele Muccino (Ecco Fatto, opera prima, fino a L’Ultimo Bacio del 2001). Il grande salto con La Grande Bellezza (Paolo Sorrentino, 2013) e il ritorno a teatro quest’anno con Il Metodo, commedia “kammerspiele” dove in una stanza si ritrovano i candidati per un posto di lavoro. Trait d’union: eleganza assoluta, bravura e precisione. L’abbiamo incontrato per questo.
In questo spettacolo teatrale appari elegantissimo, alle prese con una candidatura per un posto di lavoro. Come ti poni?
Si tratta della Dekia questa fantomatica multinazionale svedese, in riferimento non troppo celato all’Ikea. Simbolo è l’azienda, simbolico è anche il modo di pormi mio, disposto a tutto, anche alla spietatezza pur di apparire bello e appetibile. Mi piace anche nella vita privata essere elegante quando la situazione lo richiede, ma generalmente preferisco la comodità.
Torni a teatro dopo oltre un decennio. Quando esordivi con Poligraph di Robert Lepage che tipo eri?
Fu Stefania Rocca a sottopormi il copione, era un poliziesco di un autore canadese che ritengo molto valido. Fu una tournée incredibile. Mi piace tornare al teatro, tornare alle mie passioni in fondo. Infatti ora sto pensando di dare un seguito al mio libro uscito qualche anno fa con Mondadori.
La commedia Il Metodo affronta il tema dell’apparire. Vale la pena essere se stessi?
Alla fine l’essere se stessi quantomeno porta te ad avere stima e dignità. Uno deve cercare sempre di essere vero, arriverà il momento che ti guardi allo specchio e ti dai una pacca sulla spalla, un bel sei. Questo succede quando sai di non aver venduto l’anima al diavolo.
Un atteggiamento che per te ha funzionato anche nella vita?
Ha sempre pagato e continuo a pensare che pagherà. I risultati vanno e vengono, la vita è fatta di alti e bassi, tutto sommato il difendere la propria dignità credo sia un dovere più che morale…un dovere che devi a te stesso.
Sei uno degli attori più eleganti. Come curi la tua immagine?
Scelgo molto da solo. Mi sono affidato nel passato a dei grandi stilisti, sempre cercando di tener fede alla coerenza con me stesso, col mio gusto. Ho avuto un sacco di stilisti che hanno tentato di vestirmi inutilmente, poi quando mi vedevo allo specchio sembravo un altro, un’immagine di me che non era la mia o che non volevo.
Come hai risolto? Il tuo lavoro ti impone un rigore estetico?
Nel tempo ho sempre seguito il mio senso estetico, ho lavorato con stilisti che sposavano quel senso estetico. Ho lavorato per anni con Armani, adesso con Burberry. Sono brand che hanno fatto uscire quella parte di me che volevo con grande facilità.
Sembra tu abbia un approccio molto internazionale, poco italiano, al mondo dell’estetica. Sembri molto più libero di tanti tuoi colleghi. Che background hai?
Ho vissuto in Oriente, New York, Londra. Sono un cosmopolita , l’arte del mischiare l’ho imparata viaggiando. Certo, all’80% alla base c’è il desiderio di comodità. Poi ci sono le situazioni in cui devi essere elegante e basta. Ma il principio della comodità è un principio che difendo con grande fermezza.
Il tuo personaggio ne La Grande Bellezza, Stefano, aveva tutte le chiavi dei palazzi di Roma in una valigetta e un bastone. Non era proprio comodissimo a camminare!
Eh però abbiamo creato con Sorrentino una figura elegante e silenziosa, misteriosa e intrigante che è rimasta credo nella memoria di quanti hanno visto il film. Di me c’è poco in quel personaggio, solitamente amo cimentarmi in ruoli distanti da me. L’eleganza di Stefano la riconosco, però.
Giorgio Pasotti al Teatro Manzoni di Milano (foto di: Christian D’Antonio)
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