Corsi e ricorsi dell’architettura. Come la moda o il design, esiste una rivalutazione collettiva anche di intere fette di correnti che hanno conformato le nostre città in determinati e indelebili modi. Ora è il turno del Brutalismo a essere rivalutato. Partendo dalla Jugoslavia, che amava autocelebrarsi con monumenti di grande impatto visivo e dimensionale, ma che all’epoca venivano considerati basici, senza orpelli, grigi e di poca rifinitura. Brutalismo appunto, oggi oggetto di una mostra di “ricostruzione” in uno dei più importanti musei del mondo e di vari libri illustrati.
Posizionati tra l’Occidente capitalista e l’Oriente socialista, gli architetti della Jugoslavia hanno risposto a richieste e influenze contraddittorie, sviluppando un’architettura postbellica sia in linea che distinta dagli approcci progettuali osservati altrove in Europa e oltre. Al MoMa di New York per la prima volta si celebra questo movimento che è arrivato fino agli anni 50 e ha forgiato quartieri e metropoli con i suoi edifici rigorosi.
L’architettura che emerse – dai grattacieli di stile internazionale ai “condensatori sociali” brutalisti – è una manifestazione della diversità radicale, dell’ibridismo e dell’idealismo che caratterizzava lo stesso stato jugoslavo. Verso un’utopia concreta: Architecture in Jugoslavia, 1948-1980 introduce per la prima volta l’eccezionale opera degli architetti leader socialisti della Jugoslavia a un pubblico internazionale, sottolineando un corpo significativo e finora sottovalutato dell’architettura modernista, i cui contributi lungimiranti sono ancora in risonanza oggi.
Nella mostra sono affrontati i temi di urbanizzazione su larga scala, tecnologia nella vita quotidiana, consumismo, monumenti e commemorazione e la portata globale dell’architettura jugoslava. La mostra comprende oltre 400 tra disegni, modelli, fotografie e bobine cinematografiche di una serie di archivi comunali, collezioni per famiglie e musei in tutta la regione, e opere di importanti architetti tra cui Bogdan Bogdanović, Juraj Neidhardt, Svetlana Kana Radević, Edvard Ravnikar, Vjenceslav Richter e Milica Šterić. Dall’interno scultoreo della Moschea Bianca nella Bosnia rurale, alla ricostruzione post-terremoto della città di Skopje basata sul progetto Metabolista di Kenzo Tange, alla nuova città di New Belgrade, con i suoi espressivi blocchi abitativi su larga scala e edifici civici, la mostra esamina la gamma unica di forme e modalità di produzione nell’architettura jugoslava e il suo carattere distinto ma sfaccettato.
E appena si risveglia l’interesse americano di un grande museo, compare anche un libro. Si tratta del faldone enorme che ha pubblicato Phaidon dal nome Atlas of Brutalist Architecture che è un vero percorso in tutto il globo sulle tracce di uno stile che non fu soltanto slavo. Tanto che una delle prime opere brutaliste è identificata sulle rive del lago Michigan, il Milwakee County Ware Memorial disegnato da Eero Saarinen nel 1955. Un architetto finlandese, beninteso, naturalizzato americano.
Questo è l’unico libro per documentare accuratamente i migliori esempi al mondo di architettura brutalista. Più di 850 edifici, esistenti e demoliti, classici e contemporanei, sono organizzati geograficamente in nove regioni continentali.
878 edifici, 798 architetti, 102 paesi, 9 regioni del mondo, 1 stile BRUTALISM
Presentato in un formato oversize con una custodia appositamente rilegata con finiture tridimensionali, 1000 bellissime fotografie a due tonalità in tutto portano alla forza grafica, alla forza emotiva e alla presenza architettonica irresistibile del brutalismo.
Dai maestri del XX secolo agli architetti contemporanei, i capolavori più amati nel Regno Unito e negli Stati Uniti si affiancano a esempi meno conosciuti in Europa, Asia, Australia e oltre – 102 paesi in tutto.
Era stato fatto un esperimento simile in passato, concentrandosi su Belgrado. Lo aveva pubblicato la fotografa Lola Paprocka qualche anno fa e si chiama Blokovi, una serie fotografica che esplora i palazzi di New Belgrade e i loro residenti, prevalentemente girati in medio formato nell’agosto 2015. La principale fonte di ispirazione di Lola viene dal suo interesse e ammirazione per l’architettura e la ritrattistica. Questi due temi si presentano spesso durante il progetto. In sequenza ci sono varie situazioni quotidiane all’interno dell’architettura brutalista di Belgrado ed è stato tutto realizzato ai giorni nostri.