Il bimbo di Jago e un rider presi a calci: qualcuno aiuti Napoli
Una società che prende a calci, letteralmente, il lavoro altrui e l’arte (di Jago per la precisione), la forma massima dell’ingegno umano, non è una società degna di questo nome. E così come siamo i primi a glorificare le magnificenze di Napoli e del suo universo culturale, in questi primi giorni dell’anno siamo a malincuore in prima linea a condannare due episodi terrificanti avvenuti proprio a Napoli. La città è la culla della cultura del Mediterraneo, erede di tragedie secolari e massime espressioni di arte di ogni specie. Per questo è intollerabile che si vedano scene di questo genere in una città che appare alla deriva. Senz’altro sociale.
Vista dall’esterno non c’è giustificazione che tenga. E lo diciamo perché il rischio assuefazione e rassegnazione è sempre dietro l’angolo quando si tratta di episodi (per fortuna sono episodi) di questo genere. Napoli appartiene al mondo e ciò che lì succede riguarda il mondo. Non si può nemmeno immaginare che qualcuno possa prendere a calci un lavoratore in sella a un motorino nell’esercizio delle sue funzioni. Non si può tollerare e bollare come bravata di ragazzini lo sfregio, puntualmente ripreso dai cellulari per amplificarlo sui social network, a una statua in Piazza Plebiscito, il simbolo di aggregazione della capitale del Sud.
Il dolore è soprattutto constatare che gli autori di tali malvagità siano ragazzi. Ci si dovrebbe interrogare se qualcuno ha mai detto loro che significa guadagnarsi la giornata consegnando cibo a casa a 50 anni, cosa ha portato a questa scelta, cosa c’è dietro quella condizione. C’è da chiedersi se la città che ospita un’opera gratuita in piazza posta da Jago ha favorito la sua reale comprensione, ha educato al rispetto, alla conoscenza, al chiedersi semplicemente “perché”. Non può la rabbia e la sperequazione economica produrre tali abonimi, se le state tirando in causa in silenzio. C’è qualcosa di estremamente allarmante in questi due gesti che la cronaca ci consegna in questo primo scorcio di 2021, due pugnalate che gridano aiuto. C’è del sangue a terra nelle strade di una città ferita come le altre, da questa contingenza triste della pandemia. Ma che risulta sicuramente più feroce nella reazione. Bisogna impegnarsi per prevenire, bisogna aiutare non solo con la spesa sospesa, evidentemente. Fa paura che arrivano proprio in questo momento in cui quello che si prende a calci, è in realtà quello che dovrebbe salvarci: il lavoro per la collettività e il rispetto per l’arte che ci rallegra l’anima.
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Una società che prende a calci, letteralmente, il lavoro altrui e l’arte (di Jago per la precisione), la forma massima dell’ingegno umano, non è una società degna di questo nome. E così come siamo i primi a glorificare le magnificenze di Napoli e del suo universo culturale, in questi primi giorni dell’anno siamo a malincuore in prima linea a condannare due episodi terrificanti avvenuti proprio a Napoli. La città è la culla della cultura del Mediterraneo, erede di tragedie secolari e massime espressioni di arte di ogni specie. Per questo è intollerabile che si vedano scene di questo genere in una città che appare alla deriva. Senz’altro sociale.
Vista dall’esterno non c’è giustificazione che tenga. E lo diciamo perché il rischio assuefazione e rassegnazione è sempre dietro l’angolo quando si tratta di episodi (per fortuna sono episodi) di questo genere. Napoli appartiene al mondo e ciò che lì succede riguarda il mondo. Non si può nemmeno immaginare che qualcuno possa prendere a calci un lavoratore in sella a un motorino nell’esercizio delle sue funzioni. Non si può tollerare e bollare come bravata di ragazzini lo sfregio, puntualmente ripreso dai cellulari per amplificarlo sui social network, a una statua in Piazza Plebiscito, il simbolo di aggregazione della capitale del Sud.
Il dolore è soprattutto constatare che gli autori di tali malvagità siano ragazzi. Ci si dovrebbe interrogare se qualcuno ha mai detto loro che significa guadagnarsi la giornata consegnando cibo a casa a 50 anni, cosa ha portato a questa scelta, cosa c’è dietro quella condizione. C’è da chiedersi se la città che ospita un’opera gratuita in piazza posta da Jago ha favorito la sua reale comprensione, ha educato al rispetto, alla conoscenza, al chiedersi semplicemente “perché”. Non può la rabbia e la sperequazione economica produrre tali abonimi, se le state tirando in causa in silenzio. C’è qualcosa di estremamente allarmante in questi due gesti che la cronaca ci consegna in questo primo scorcio di 2021, due pugnalate che gridano aiuto. C’è del sangue a terra nelle strade di una città ferita come le altre, da questa contingenza triste della pandemia. Ma che risulta sicuramente più feroce nella reazione. Bisogna impegnarsi per prevenire, bisogna aiutare non solo con la spesa sospesa, evidentemente. Fa paura che arrivano proprio in questo momento in cui quello che si prende a calci, è in realtà quello che dovrebbe salvarci: il lavoro per la collettività e il rispetto per l’arte che ci rallegra l’anima.
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