Nel cuore delle cose: Harald Szeemann e il Monte Verità a vent’anni dalla morte del celebre curatore e storico dell’arte svizzero è protagonista una mostra intima e visionaria celebra il suo spirito in due luoghi-soglia dell’anima. Un viaggio tra arte, natura e trascendenza.
C’è un luogo, nel cuore del Ticino, dove il tempo non segue le leggi della cronologia, ma quelle del pensiero. Dove la natura sembra accordarsi con il ritmo interiore della contemplazione, e dove il silenzio non è assenza, ma linguaggio. Questo luogo è Monte Verità, e non a caso fu uno dei luoghi prediletti da Harald Szeemann, figura rivoluzionaria della curatela contemporanea, esploratore instancabile della dimensione più profonda e spirituale dell’arte.
A vent’anni dalla sua scomparsa, la Fondazione Monte Verità ha voluto rendergli omaggio con una mostra tanto raccolta quanto intensa, allestita nella capanna Casa Selma e nella Casa dei Russi (a entrata libera e resterà esposta fino al 31 agosto 2025). Due spazi simbolici, carichi di memoria, che diventano protagonisti essi stessi dell’esperienza espositiva. Curata con sensibilità dalla moglie di Szeemann, la mostra si intitola Pretenzione – Intenzione – Objects of Beauty and Bewildermentfrom the Archive of Harald Szeemann, e più che un percorso cronologico o tematico, si offre come esperienza immersiva, quasi iniziatica.










“Lo spirito dell’arte è qualcosa che si manifesta quando si lascia spazio all’imprevisto.”
— Harald Szeemann
Il Monte Verità è un luogo di straordinaria valenza culturale. Pochi altri posti nel corso del XX secolo hanno ospitato un numero così elevato di personalità alternative. Artisti, scrittori, filosofi, ballerini, tutti attratti sia dal clima mite e dalla bella vista sul Lago Maggiore, sia dal desiderio di trovare individui affini, con cui condividere un percorso di ricerca artistica e spirituale.
La mostra come rito interiore
Visitando la mostra lo scorso 31 luglio, non mi sono sentito semplicemente un osservatore. Ho vissuto un’esperienza che potrei definire spirituale, quasi metafisica. Entrare nella Casa Selma o nella Casa dei Russi significa superare una soglia invisibile: si abbandona la percezione ordinaria del tempo e si entra in una dimensione sospesa, in cui gli oggetti sembrano parlare sottovoce, evocare presenze, pensieri, frammenti di esistenze.
Gli oggetti esposti – lettere, annotazioni, frammenti d’archivio, fotografie, oggetti personali – non raccontano, ma interrogano. Non illustrano una carriera, ma suggeriscono un processo interiore, un cammino mentale che diventa universale. C’è una bellezza misteriosa e disarmante nel modo in cui sono collocati: non secondo una gerarchia o una narrazione, ma secondo una logica poetica che invita alla meditazione.
“L’esposizione è un mezzo per far pensare, non per spiegare.”
— Harald Szeemann
Tra natura e cosmo
La spiritualità del luogo si fonde con l’esperienza artistica. Il bosco attorno, il silenzio, la luce che filtra fra le foglie, il profumo del legno antico: tutto partecipa a una liturgia naturale, in cui l’arte si dissolve nella vita e viceversa. È impossibile distinguere ciò che è allestimento da ciò che è paesaggio. La mostra non è contenuta nello spazio: è lo spazio a essere opera d’arte vivente.
Gli oggetti sembravano catalizzatori di una memoria collettiva e personale insieme. Mi sono trovato immerso in una contemplazione del passato-presente, in cui i pensieri sembravano metamorfizzarsi attraverso le cose.








Foto in alto: Mostra Harald Szeemann, Monte Verita’, Ascona. Presso CAPANNA SELMA (credit: Gianni Foraboschi).
“Il vero curatore è un viaggiatore tra mondi visibili e invisibili.”
— Harald Szeemann
Un’eredità viva
Lontana da ogni monumentalizzazione, questa mostra restituisce l’essenza più autentica di Szeemann: non solo l’organizzatore di Documenta o della Biennale, ma l’uomo, il cercatore, il poeta del frammento e dell’invisibile. Qui l’arte non è più separata dalla vita: è vita che si fa oggetto, è oggetto che si fa spirito.
In un’epoca in cui le mostre tendono a essere eventi spettacolari e autoreferenziali, questa esposizione rappresenta un’eccezione luminosa: un ritorno alla verità della visione, all’ascolto silenzioso, all’umiltà dell’arte. È una mostra che non vuole stupire, ma accompagnare il visitatore verso un dialogo interiore.
“Il mio lavoro è creare condizioni di libertà per l’opera e per chi la guarda.”
— Harald Szeemann
E per chi ha occhi e cuore per vedere, sarà impossibile uscirne uguali a prima.
Report di Gianni Foraboschi