La streetart è servita anche a sensibilizzare i cittadini a Milano e Roma, nell’ambito delle manifestazioni che hanno portato alle campagne informative del primo dicembre, il World Aids Day. A Milano gli Orticanoodles, a Roma Knet, hanno realizzato una gigantesca opera riprodotta su un bus che girava per le due città per diffondere informazioni e messaggi accurati sulla malattia e su come ci si dovrebbe comportare.

KNET – Sia a Roma che a Milano la tecnologia ha fatto da filo conduttore dell’esperienza artistica. Per animare la foto che si vede sul bus informativo che è circolato nelle due città con due soggetti diversi (come anche quelle dell’articolo che state leggendo) bisognava inquadrare sul pc o su carta con uno smartphone attraverso la app Bepart, che è partner di questo progetto.
Knet, street artist salerinato che da sempre ha realizzato lavori connessi col sociale, così racconta l’opera: “Ho immaginato una mano che, idealmente, rappresenta i progressi scientifici e l’informazione, fa esplodere la bolla virus che racchiude le persone che convivono con l’HIV, permettendo loro di uscire dall’isolamento e tornare a vivere in società alla pari degli altri. Il tutto con uno stile che richiama Keith Haring, artista morto di AIDS nel 1990”.
L’incomunicabilità tra i due mondi, quello che si sente al sicuro, la società “normale” e normalizzata, e quello degli ammalati è quindi la partenza di questa singolare opera di #Knet per il progetto che Gilead ha intitolato #trattamibene (questo il sito www.hivtrattamibene.it promosso da Gilead Sciences).
ISPIRAZIONE – “Le parole da cui sono partito – ci ha detto Knet – sono “Trattami bene liberami” e ho pensato di promuovere artisticamente il messaggio che volevano diffondere. Sono andato a Milano, ho lavorato nello studio di Orticanoodles mentre loro partorivano idee sulla campagna da far girare in città. Per Roma, ho disegnato una tela in acrilico di grandi dimensioni che poi è stata fotografata in alta definizione ed è stata riprodotta a laser sul bus”.
L’intento di Knet è anche quello di sottolineare come la percezione della malattia sta cambiando nella società e dove si potrebbe arrivare: “Si è passata la fase del virus come scoglio alla sopravvivenza e si è arrivati alla consapevolezza del superamento dello stigma. Ma da qui dobbiamo lottare per migliorare la qualità di vita, sia farmacologica che sociale, delle persone con Hiv”.
Se provate a chiedere a Knet cosa lo ha ispirato, è facile che vi racconterà prima quale mondo ha scartato: “Vi racconto dove non volevo andare con questo progetto. E quindi evitare pietismo, cose già viste, per me è stato difficile il momento dello ‘scarto’ che però mi ha datto arrivare alla creatività che è una rappresentazione di cosa sta succedendo oggi nella società. C’è un gruppo di persone informate, consapevoli, spesso sono quelle contagiate. E c’è una fetta di popolazione che non ha nessuna idea, di come ci si comporta e di cosa si deve fare. La mia è una chiamata a prendere coscienza e lottare contro le incompetenze. Purtroppo le si riscontra spesso anche tra persone che sono preposte alla cura. Non dobbiamo lasciare che sia sempre il contagiato a dover spiegare fino allo sfinimento”.
Come si riflette tutto ciò nell’arte? “Io ho disegnato la normalità di quello che accade ogni giorno. Ci sono le bolle che simboleggiano il virus, la forma vera del virus riprodotta. Queste bolle chiudono delle persone che sono senza colore e sotto nel disegno, ci sono le persone della società che vivono una vita normale, distaccate. Chi sta nella bolla è posizionato anche le atteggiamenti che richiamano alla reazione che si ha quando si ha la diagnosi. Chi prova a trovare i suoi simili, chi scappa, chi non vive con gli altri. La mano che rappresenta la scienza e informazione, in secondo luogo, rompe le bolle e permette la caduta dell’omino che prende il colore che simboleggia la ripresa delle relazioni”.
La normalizzazione del contagiato può esseri quando la scienza lo rende inoffensivo e solo con l’informazione giusta la bolla si rompe. “Infatti – spiega Knet, laureato in sociologia – nell’animazione di realtà aumentata si vede il riallineamento alla societa da parte dellla persona che vive con Hiv. Un gesto semplice e simbolico, che evita drammatizzazione e non spinge alla paura”.